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I fantasmi di Shelley e Keats

Conclusi gli ultimi metri di via del Babbuino si apre quel magnifico slargo che tutto il mondo conosce come Piazza di Spagna. Ora vi propongo un gioco: provate a immaginarvela senza macchine, senza turisti e al posto degli opulenti negozi di moda, delle piccole botteghe artigiane. Banchi di frutta e verdura, qualche carrozza qua e la, e venditori d’acqua che, botte alla spalla, vi propone un assaggio al mestolo.

Ebbene, questa era la Roma che avremmo potuto vedere fino ad un secolo fa, ed era la Roma che conobbero due importanti poeti romantici d’inizio ottocento, John Keats e Percy Bysshe Shelley.

Oggigiorno è assai comune potersi permettere un viaggio per visitare località più o meno lontane, ma in passato tali viaggi non erano alla portata di tutti; il “turismo” era un lusso di una ristretta cerchia sociale che poteva permetterselo.

Ed anche questi fortunati artisti inglesi giunsero qui in Italia attratti dalla cultura e dalla bellezza del nostro paese, ma anche dal clima che avrebbe potuto giovare alla salute malferma di Keats.

John, che soffrì a lungo di tubercolosi, arrivò a Roma ormai devastato dalla malattia dopo un viaggio estenuante che ne peggiorò le condizioni fisiche. Soggiornò, insieme al suo amico Joseph Severn, nell’edificio alla destra della scalinata di Trinità dei Monti nella speranza di ristabilirsi (grazie al sole e al clima mite di Roma) e tornare a comporre altri versi memorabili che, purtroppo, mai scrisse.

Ma la speranza era anche quella di recuperare la salute e tornare in patria per sposare la sua amata Fanny. John si stabilì a Roma il 15 novembre 1820 accompagnato dal suo amico per morire tra le sue braccia il 23 febbraio 1821.

Malgrado la morte prematura e la breve attività letteraria (ad essa dedicò poco meno di tre anni) Keats è a tutt’oggi riconosciuto come uno degli esponenti di spicco della letteratura romantica inglese.

Ma anche il suo caro amico e collega Percy Bysshe Shelley non ebbe miglior sorte… in fuga dall’Inghilterra per una serie di contrasti familiari e forse dai rimorsi per aver abbandonato la prima moglie Harriet (che a seguito di ciò si tolse la vita), Percy girò in lungo e in largo la penisola italiana sostando in alcune delle più belle città italiane. E proprio il suo soggiorno romano coincise con quello del giovane amico e compatriota Keats al quale non mancò di dare sostegno artistico e conforto umano. L’incontro di queste due menti, se pur di breve durata, non passò certo inosservato alla gente del rione. La triste figura malaticcia di Keats, accompagnato da Joseph, Percy, e sua moglie Mary, doveva indurre una certa commozione in chi li vedeva procedere lenti per le vie. Talvolta verso il Caffè Greco per gustare un poco di gioia di vivere oppure inerpicarsi su per la scalinata ed estasiare l’anima con il panorama della città.

Ad ogni modo i due poeti entrarono con forza nella fantasia collettiva e vi rimasero come un mesto e nostalgico ricordo rionale. Anche la tragica fine di Shelley, morto annegato per un naufragio al largo delle coste livornesi, alimentò la convinzione popolare secondo la quale le sofferenze patite in vita da questi due poeti potessero in qualche modo unirli post mortem, una sorta di eterno abbraccio consolatorio tra due anime dolenti.

Da allora le apparizioni dei fantasmi dei due poeti continuano ad atterrire o affascinare, secondo i punti di vista, i turisti, gli abitanti del rione e i visitatori della casa museo a loro dedicata (la Keats Shelley Memorial House)…

Tuttavia le apparizioni dei due maestri letterari non si limitano alla sola abitazione-museo ma trovano un ben più suggestivo teatro nel cimitero acattolico di Roma presso la piramide Cestia.

Questo luogo sacro fu appositamente adibito ad ospitare le salme dei cristiani non cattolici alle quali, per ovvi motivi politico-religiosi, era negata la sepoltura nei consueti cimiteri cittadini. A tale tradizione ci si adeguò anche per le sepolture di Keats e Shelley le cui tombe sono ancora li a ricordare le loro passate esistenze e ad attendere chiunque voglia portare un fiore o recitare loro
dei versi.

In questo luogo ammantato di un fascino del tutto singolare, tra lapidi straniere, gatti randagi e viottoli brumosi la notte porta quiete ed esorta le romantiche presenze ad apparire e recitare i loro lirici epitaffi:

John Keats chiese di essere ricordato con queste parole:

This grave contains all that was mortal, of a YOUNG ENGLISH POET, who on his death bed, in the bitterness of his heart, at the malicious power of his enemies, desired these words to be engraven on his tombstone: Here lies one whose name was writ in water

Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua

Percy Bysshe Shelley, in riferimento alla sua tragica morte in mare è eternato da tre versi presi dal canto di Ariel ne “La tempesta” di Williams Shakespeare:

Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange

Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano

Alta, sotto il nome del poeta, campeggiano due parole latine “COR CORDIU“, “CUORE DEI CUORI“, parole d’amore che volle incidere la moglie del poeta, Mary Shelley, in relazione al cuore di Percy che con esso l’amò teneramente e che lei trattenne per se dal rogo funebre come reliquia.

Poco distante dalla tomba di Keats un’anonima e laconica iscrizione (sotto forma di acrostico) risponde all’epitaffio del poeta:

K-eats! if thy cherished name be “writ in water”
E-ach drop has fallen from some mourner’s cheek;
A-sacred tribute; such as heroes seek,
T-hough oft in vain – for dazzling deeds of slaughter
S-leep on! Not honoured less for Epitaph so meek!

Keats! se il tuo caro nome è “scritto sull’acqua”,
Ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange;
Un sacro tributo; così come gli eroi cercano di fare,
Sebbene spesso invano – azioni straordinarie di carnefice,
Riposa! Non meno onorato per un epitaffio così mite!

Illustrazione di Marco Sindici

About the author

Romano di nascita, amo leggere e disegnare sin da bambino e ho letto e disegnato qualsiasi cosa mi facesse volare via con la fantasia. I libri, le illustrazioni, il cinema e le passeggiate sono la mia "isola che non c'è". Ho sempre cercato di frequentare persone interessanti, cose inconsuete e luoghi inusuali, che potessero insegnarmi qualcosa o distrarmi dalle banali futilità quotidiane. Così facendo ho avuto modo di conoscere una miriade di esseri meravigliosi, posti fantastici e cose indicibili e tutt'ora, che ho passato i cinquanta, ancora vado a ritrovare la mia isola. Ma non serve andar chi sa dove per trovare un'isola che non c'è; esistono isole anche a Roma, basta saperle cercare. È con un poco di cuore e un pizzico di fantasia che si compie la magia.

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