Acheter des stéroïdes anabolisants

Dal centro di piazza Navona, dirigendosi verso l’estremità sud (quella con la Fontana del Moro di fronte all’imponente palazzo Pamphilj) troviamo via di Pasquino che, per l’appunto, ci conduce alla piazza dal medesimo appellativo.

Ma chi era questo Pasquino così tanto nominato in questa zona e nei libri di storia? Ebbene oggi proveremo a scoprirlo.

Per vedere Pasquino è sufficiente arrivare a piazza di Pasquino dove lo si trova posato su un piedistallo a circa un metro e ottanta di altezza. È ciò che resta di un gruppo marmoreo che, molto probabilmente, decorava l’antico stadio di Domiziano. È poco più che un frammento di pietra ma è possibile farsi un’idea di com’era visitando piazza della Signoria a Firenze e ammirare, nella loggia dei Lanzi il gruppo marmoreo di “Patroclo e Menelao“.

Ma torniamo a Roma. Questa rappresentazione marmorea fu ritrovata e disseppellita, già in gravi condizioni, durante gli scavi per il rifacimento stradale nel 1501 presso palazzo Orsini (oggi Braschi). Il Cardinale Carafa insistette per salvare quest’opera, da molti giudicata di scarso valore, e per esibirla ove oggi si trova.

Vuoi per scarso senso estetico del popolo romano, ma anche per l’effettivo stato di degrado in cui già versava, quest’opera fu spesso vandalizzata e fatta bersaglio di frequenti sassaiole.

Le origini del nome sono assai controverse. Pasquino secondo alcuni era un ristoratore della piazza che passò il suo appellativo alla statua rendendolo in seguito un “toponimo”; ma anche un barbiere o un popolare stornellatore della zona. Tuttavia la versione più recente vorrebbe Pasquino un insegnante di grammatica, probabilmente brutto come la statua e poco amato dagli studenti; questi infatti erano soliti affiggere sul tronco di marmo i loro versi canzonatori per irridere il “prof.” Tale irrisione col tempo sparì ma lasciò il nome al monumento e l’usanza di apporre al busto versi sbeffeggiatori dapprima tra popolani del rione e poi all’insegna di eminenti prelati, nobili e personalità di spicco. Questa consuetudine fu osteggiata con determinazione dal clero e dai diretti interessati ma guardie armate, picchetti e pattugliamenti non poterono nulla contro i verseggiatori che ridicolizzavano i potenti dell’epoca. Pasquino non era più una brutta e semplice statua di marmo… Pasquino era un simbolo di rivalsa e di libertà d’espressione popolare. È comunque doveroso ribadire che spesso gli anonimi poeti non erano solamente i dotti esponenti del popolo scontento, ma veri e propri poeti pagati dalle potenti famiglie aristocratiche per sbeffeggiare altri potenti rivali e creare dissenso popolare verso costoro.

Il congresso…

Un po’ per l’assiduo pattugliamento da parte delle guardie pontificie, un po’ per l’efficacia di tale metodo espressivo, alle irrisioni di Pasquino (dette pasquinate) vennero alternate e affiancate quelle di altre “statue parlanti”. Quando Pasquino sentenziava un altro monumento rispondeva rincarando la dose di sberleffo, e un terzo era pronto a replicare. Questo insieme di statue “chiacchierone” era, ed è conosciuto tutt’ora come, “Il congresso degli arguti“.

Le statue che ne facevano parte erano le così dette “statue parlanti” e tutt’oggi possono essere ammirate percorrendo le vie di Roma.

Chi sono e dove sono le statue parlanti:

PASQUINO: È il capostipite di tutto il congresso e, come già detto, si trova in piazza di Pasquino a un centinaio di metri da piazza Navona. Ad oggi è la statua che mantiene viva la tradizione delle pasquinate e di fatti, anche ai giorni nostri, c’è chi appone rime e pensieri per denunciare con ironia e pubblicamente ogni tipo di sopruso sociale, politico o più modestamente di carattere privato.

MARFORIO: È il più imponente del gruppo e rappresenta il dio Oceano disteso su un fianco. attualmente è visibile nel cortile dei musei Capitolini sul Campidoglio. Era l’interlocutore abituale di Pasquino e con il quale scambiò i più bei versi satirici.

Marforio a Pasquino: “È vero che i francesi so tutti ladri?”

Pasquino: “Tutti no ma BonaParte!”

Oppure…

Marforio: “Caro Pasquino, che tempacci brutti! Tu di’ si ciò raggione; Er popolo è fregnone come er cerino: Se fa fregà da tutti!”

Pasquino: “Caro Marforio, è giusto er paragone, Però er popolo è ancora più frescone, Perché er cerino, lo sai pure tu, Lo pòi fregà ‘na vorta, Poi nu’ lo freghi più!”

ABATE LUIGI: È la rappresentazione di un uomo in toga, forse un senatore o un alto funzionario romano. Si trova non lontano dalla statua di Pasquino, in Piazza Vidoni, sul lato destro della basilica di Sant’Andrea della Valle. Curiosa è la vicenda della sua testa; infatti nella seconda metà IXX secolo, a seguito dei lavori per la realizzazione di Viale Vittorio Emanuele, la statua fu spostata provvisoriamente in una nicchia all’interno di palazzo Chigi. Nel 1924 ,dopo il radicale intervento urbanistico, la statua fu ricollocata in quello che approssimativamente era il suo vecchio luogo espositivo. Insieme alla traslazione l’Abate fu onorato dai versi di Giuseppe Tomassetti che ancora si leggono sul suo piedistallo.

“Fui dell’Antica Roma un cittadino,

ora Abate Luigi ognuno mi chiama,

conquistai con Marforio e con Pasquino,

nelle satire urbane eterna fama.

Ebbi offese, disgrazie e sepoltura,

ma qui vita novella e alfine sicura”.

Durante questo secondo periodo di esposizione all’aperto la statua subì vari atti vandalici e ripetute sottrazioni della testa che, puntualmente, veniva riposizionata usando una copia in gesso.

Nel 1966, grazie all’estro di un amico poeta, l’Abate si lagnò di un ennesima sottrazione cefalica.

“O tu che m’arrubasti la capoccia

vedi d’ariportalla immantinente

sinnò, voi vede? Come fusse gnente

me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”

L’ultima perdita della testa l’Abate Luigi l’ha subita nell’Aprile del 2013. D’allora resta decapitato in attesa di recuperare il volto, ma non il senno…

MADAMA LUCREZIA: È un imponente busto marmoreo posto su un grosso basamento anch’esso di marmo. Quest’opera la si trova defilata nell’angolo di piazza San Marco sulla sinistra dell’ingresso dell’omonima chiesa. Si pensa possa essere la riproduzione della dea Iside o di una sua sacerdotessa. Il suo singolare nomignolo lo si deve probabilmente ad una nobildonna romana, Lucrezia d’Alagno nota per essere stata l’amante di Alfonso V d’Aragona Re di Napoli. Alla morte di quest’ultimo Lucrezia perse qualsiasi protezione e ritornò a Roma risiedendo proprio nel palazzo che ora è alle spalle del monumento. Evidentemente, il lazzo e la fantasia popolare, attribuirono a questo blocco di pietra l’identità dell’aristocratica signora. Ad esso diedero lo stesso nome, e il prefisso “Madama”, alludeva non solo all’alto rango della donna ma anche al suo poco ragguardevole ruolo d’amante/concubina e al suo imbastardimento con un ambiente meridionale; li a Napoli la definizione di Madama era più in voga che non a Roma.

Come appartenente al congresso degli arguti, Madama Lucrezia, non fu molto prolifica limitandosi a ribattere o concludere i versetti iniziati dagli altri componenti, tuttavia sono memorabili due satire, una ai danni di Papa Gregorio XIV che, malato e in fin di vita, tento di ristabilirsi trasferendosi a palazzo Venezia; la speranza era quella di godere di maggiore tranquillità grazie ad un alto steccato che avrebbe riparato il pontefice dai rumori urbani. Ma la morte sopragiunse inesorabile e sul busto di Madama Lucrezia apparve un cartello che riportava: “La morte entrò attraverso i cancelli”. L’altra lamentela apparve nel 1799 durante la breve vita della Repubblica Romana quando il busto di Madama Lucrezia, a seguito di tumulti, fu buttato a terra a faccia in giù. in tale circostanze un cartello sulla sull’ampia schiena recitava: “Non ne posso veder più”.

IL FACCHINO: Una piccola fontanella posta in via Lata (traversa di via del Corso), tenendo in mano una botticella, offre la sua acqua ai passanti con l’aspetto di un barbuto “acquaiolo”. Quest’opera fu commissionata allo scultore Jacopo Del Conte dalla corporazione degli acquaroli nel 1580 e non come si potrebbe pensare da quella dei facchini. “L’acquaiolo” o in romano “acquarolo” era un antico mestiere molto diffuso in città a seguito della carente distribuzione idrica che affliggeva Roma. Quando, nella seconda metà del XVI secolo, gli imponenti lavori di ripristino degli acquedotti riportarono acqua potabile nella città tale mestiere lentamente scomparve. Fare l’acquaiolo consisteva nell’andare a rifornirsi di acqua nelle fonti intorno a Roma e trasportarla nell’urbe per rivenderla al dettaglio in strada o porta a porta. Tra gli acquaioli spiccavano quelli che vendevano acque dalle proprietà curative o presunte tali, come le acque Albule di Tivoli, l’acqua Santa o Egeria presso la via Appia o l’acqua Sacra a Monte Sacro… La lista potrebbe allungarsi. Tuttavia i più famosi della corporazione erano gli acquacetari che vendevano le acque della fonte “dell’acqua Acetosa”che sgorgava nei pressi di villa Glori. Dai romani dell’epoca era considerata l’acqua curativa per eccellenza.

Ma torniamo alla piccola fontana del Facchino; questo popolare ma “improprio” appellativo di “facchino” sarebbe sorto a seguito di una iscrizione scolpita a corredo del monumento poi perduta dopo lo spostamento da via del Corso dell’opera nel sito attuale: “Ad Abbondio Rizio, coronato facchino sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì.”

Probabilmente la pregiata fattura della fontana fu usata per glorificare la memoria di un famoso facchino quando ormai non v’erano più acquaioli per le vie di Roma che potessero rivendicarne le origini. L’aspetto per così dire “vissuto” della fontana, in particolar modo il volto, sarebbe da attribuirsi agli atti vandalici in genere e alle sassaiole che, i giovinastri del rione, attuavano ai danni delle opere pubbliche minori. Questo gioco era una sorta di esercitazione per tenersi preparati ad affrontare, a sassate, i rivali di altri rioni o possibili aggressori. Aggiungiamoci anche che, il facchino, era ritenuto la vera effige di Martin Lutero )-: ed eccolo bersaglio perfetto per le peggiori ingiurie.

Oggi il facchino/acquaiolo è li con la sua acqua che disseta frotte di romani e turisti ignari del suo passato.

IL BABBUINO: Riguardo a questa fontana non mi dilungherò in quanto già trattata nell’articolo sulla bella Lorenza moglie di Cagliostro. Tuttavia aggiungo un omissis a questo articolo: Alle spalle del “Babbuino” vi è un locale molto particolare dove non sarebbe affatto male sedersi e prendersi un caffè attorniati da svariati sculture busti e calchi in gesso. Per chi ama l’arte sarebbe un caffè indimenticabile. Questa è Roma.

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